Obongo e sua moglie capitano in un
paesello situato nei pressi dell’autostrada.
L’ora di cena è passata da un bel
po’, la strada da fare è ancora tanta e optano quindi per una piccola
deviazione alla ricerca di un posto dove mangiare.
Localizzano una trattoria tipica,
sperando che sia una di quelle che tanto onore e lustro portano alla tradizione
culinaria italiana.
Entrano.
Un cameriere taciturno li fa
accomodare subito e porta loro i menu.
“Certo un tipo di poche parole”
commenta Obongo.
“Magari è timido” gli risponde
Obonga.
“Comunque sembra gentile. Dai
ordiniamo che ho una fame pazzesca” chiosa Obongo.
La scelta è limitata, come si
conviene ad una trattoria di paese, segno che i piatti sono tutti fatti con
ingredienti locali freschi: “fanno solo quello che sanno fare ma lo fanno bene”
pensa Obongo soddisfatto.
I nomi sono tutto un programma:
ogni piatto ha una descrizione dettagliatissima che lo rende ancora più
sfizioso agli occhi di chi legge.
“Sgnaccabuzzi freschi al burro fuso
della Val Tinozza, con Sbriccolini ripassati in olio d’oliva del frantoio locale,
mandorle di Casal Buzzetto a listelli, fettine di petto d’oca affumicate e
scaglie di Corbiglione stagionato”.
Obongo sta letteralmente sbavando
sul menu, ma è indeciso; visto che ci sono diverse parole che non conosce pensa
bene di chiedere delucidazioni al cameriere prima di operare una scelta così
delicata.
“Mi scusi…”
Il cameriere fa un cenno col capo e
si avvicina: “Sì?”
“Cosa sono gli Sgnaccabuzzi? E gli Sbriccolini?
Il Corbiglione?”
Il cameriere assume un’espressione vagamente
rassegnata.
Prende fiato.
Risponde.
“Gli sgna sgna sgna cca cca bu bu
bu bu bu zzi so so so no un ti ti ti po di pa pa pa pa paaa sta lo lo lo ca ca
cale fa fa fatta co co co con a a a cqua fa fa fa fa rina e u u u uova.”
35 secondi.
Obongo con gli occhi ancora
sgranati, intuisce il pericolo e spera di essersela cavata a buon mercato.
Sta per dire “grazie”, ma a causa
della sorpresa ci mette un attimo in più del dovuto.
Il cameriere ha già ripreso fiato.
Riparte.
“So so so no sta ta ta ti in ve in
ve inventa ti da da da una si si si gno ra di qua. Da da da da non co co co
confondersi co co con gli sgna sgna sgna cca bozzi che so so so no del pa pa pa
ese qua qua qua vi vi vi cino ma ma ma so so so sono tu tu tu tutt’un a un’a
un’a un’altra co co co sa!”
1 minuto e 20 secondi.
Obongo non ha il coraggio di
interromperlo per paura di sembrare maleducato.
E quello, visto che nessuno lo interrompe,
giustamente tira dritto.
Seguono preziose delucidazioni sui
temi: “la storia dello Sgnaccabuzzo (e non lo Sgnaccabozzo) nella tradizione
rurale paesana”, “Sbriccolini: oltre il pomodoro Pachino” e “La versatilità del
Corbiglione il formaggio più sottovalutato d’Italia”.
Tutti lentamente declinati al blando
ma regolare tempo del suo tartagliare.
Quando improvvisamente la pausa del
cameriere diventa lunga a sufficienza, Obongo capisce che ha terminato le
spiegazioni.
Nonostante la fame lo stesse
lacerando è riuscito a portare a termine l’educato gesto di non interrompere il
cameriere balbettante, il quale ne ha approfittato per sfogare in un colpo solo
anni ed anni di spiegazioni represse che nessuno aveva mai avuto la pazienza di
ascoltare.
Il cameriere sorride ad Obongo,
quasi commosso.
Obongo restituisce il sorriso e,
forse ancora ipnotizzato dai 20 minuti più lunghi della sua vita risponde.
“Gra gra gra zie”.
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