Imbucarsi ad una festa può
avere delle controindicazioni.
Questa è la storia di
quando Obongo ed Obongao si sono imbucati alla festa di laurea di un'amica del
cugino di secondo grado di un amico d'infanzia, sperimentando in prima persona
quanto sopra.
Arrivati sul posto i due
capiscono dopo pochi minuti che qualcosa non quadra.
La casa al mare ben tenuta,
con piscina e prato inglese di proprietà della facoltosa famiglia nobile della
festeggiata stride infatti con le figure che la popolano, le quali, di nobile o
alla peggio di borghese o che dir si voglia fighetto non hanno proprio niente.
Trattasi di una gloriosa e
variopinta accozzaglia di personaggi uniti dal denominatore comune dell’anticonformismo,
palesato in maniera più o meno marcata: intellettualoidi barbuti fuori corso
della facoltà di filosofia, vicesegretari di sezione del partito dei giovani
amici del Kolkoz, esponenti di centri sociali di varia estrazione, sostenitori
di BluePeace, suonatori di ukulele, giocolieri, chiromanti e mangiafuoco.
Obongo e Obongao si
presentano in jeans e maglietta, un abbigliamento sufficiente a generare nei
più il sospetto di trovarsi di fronte ad esemplari della nuova generazione borghese,
così scevri delle essenziali conoscenze storico-politiche e della benché minima
sensibilità artistica, unicamente dediti al più spensierato edonismo; ed in effetti i due si sono
imbucati alla festa mossi da pensieri che poco hanno a che spartire con i temi esistenziali
che si intavolano in quei contesti (uno spaccato della serata ideale di Obongo ed Obongao si può trovare qua).
Ad ogni buon conto, dopo lo smarrimento
iniziale, i due intrusi si buttano nella mischia, notando che anche tra le più assidue
frequentatrici del circolo “Pane e Kant” la terza taglia non è poi così
inusuale.
Un determinato Obongao
punta subito in alto, approcciando dritto per dritto una delle ragazze più
carine: una tipa che, purtroppo per lui, è tanto bella quanto colta e
loquace.
Il dialogo, o meglio il
monologo che ne scaturisce, è un bombardamento a tappeto sugli scottanti temi
delle masse oppresse di qualche imprecisata regione dell’Amazzonia centrale,
alla quale Obongao tiene testa eroicamente per più di mezz’ora blaterando frasi
composte quasi esclusivamente dalle parole “foresta”, “piraña” e “Maracanà”, in
tutte le loro possibili combinazioni.
Obongao capitola quando la
tipa attacca a parlare del Chapas e lui, ormai stremato e a corto di risorse,
risponde che gli piace un sacco ma preferisce i Tacos.
Obongo gioca invece le sue
carte con una sedicente lettrice della mano, tra le poche ragazze presenti ad
avere un bagaglio culturale abbastanza limitato per non intasare la
conversazione con santuari delle balene o complotti giudaico-massonici. Dopo un
promettente inizio però, la donzella rivolge le sue attenzioni verso un altro
tipo: un ballerino cubano, ricercato politico e fuggito dalla patria in maniera
rocambolesca su un cargo di banane, il quale a fine serata finirà per rivelarsi
un tabaccaio barese, imbucatosi pure lui, tradito dall’accento spagnolo miseramente
affogato nella vodka.
Oltre il suggestivo
scenario della villa con piscina, la desolante serata ha come lato positivo una
scorta pressoché illimitata di bevande alcoliche dalla quale Obongo ed Obongao attingono
a mani piene.
L’ora tarda arriva e quasi
senza accorgersene i due si ritrovano un po’ ebbri all’interno della villa insieme
ai pochi altri ospiti rimasti; non ricordano come ci sono arrivati ma colgono l’occasione
per fare un ultimo sforzo e provare a socializzare.
La serata ha preso una
svolta musicale ma non c’è verso per i due di canticchiare qualche verso
armonizzando con gli altri: le canzoni sono una selezione di inni bolscevichi o
rare composizioni di artisti underground. Obongo tenta anche di imbracciare la
chitarra per suonare qualche classico, una di quelle canzoni che tutti, ma
proprio tutti hanno cantato almeno una volta ad un falò in spiaggia, ma viene
gelato da sguardi incuriositi e richieste del tipo: la sai “Rivoluzione, fango
e ortiche” di Leone Fricchiaboni?"
Non se ne esce: il divario è
insormontabile, tanto più che ora alcuni ragazzi si sono messi a suonare
insieme alla chitarra anche dei bonghi ed altri strumenti etnici mai visti,
probabilmente recuperati in un mercatino delle pulci equo e solidale.
Obongo sconsolato solleva
le spalle mentre guarda Obongao dall’altra parte della stanza e, complice il
mix di alcool e frustrazione, finge per il suo amico di suonare una batteria
che non c’è.
Obongao apprezza il gesto,
ridacchia e si guarda intorno, alla ricerca di qualcosa da suonare pure lui per
restituire il favore.
Obongo compiaciuto della
sua trovata si rilassa, gira lo sguardo di nuovo verso i bonghisti, e poi di
nuovo verso Obongao, per trovarlo completamente immerso in un poderoso assolo
di termosifone.
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