Obongo ed Obassa tornano da
scuola.
La spensieratezza dei
diciott’anni e lo splendore di una meravigliosa giornata primaverile fanno da cornice
a questa storia, in cui vedremo quanto sia importante, fin da ragazzi, imparare
a superare le difficoltà sulla strada che porta al cuore di una donna.
I due amici abitano a poca
distanza uno dall’altro ed una volta scesi dall’autobus, affrontano come ogni
giorno la breve camminata per tornare a casa.
Il tragitto è
particolarmente interessante poiché in quella strada vivono le sorelle
Gnoccobonga, due bellissime ragazze che hanno fatto innamorare tutto il
quartiere, inclusi i nostri due giovani eroi.
Quella parte del percorso,
prima di rincasare, è la preferita dei due, che fantasticano sul riuscire a
scorgere una o addirittura entrambe le Gnoccobonga nel giardino di casa loro.
Dall’imboccatura della
strada non parlano d’altro, facendo volare il pensiero verso il possibile
incontro e colorandolo delle svolte più o meno plausibili che potrebbe prendere:
“magari stanno lavando la macchina in bikini, perché c’è caldo”, “e se arrivasse
una folata di maestrale e gli si alza la gonna?”, “Poi magari passa una gazza
ladra che gli ruba le mutande”, “forse una inciampa, sbatte la testa e
s’innamora di me”, “forse si baciano”.
In realtà i due le
Gnoccobonga le hanno scorte forse tre volte per una durata complessiva dei
fugaci incontri di non più di dieci secondi, ma tant’è: un po’ il mito delle
bellissime sorelle, un po’ il mix di fantasie ormonali unite all’euforia di
avere terminato la giornata scolastica, e così ogni giorno l’argomento di
discussione è sempre lo stesso, condito da commenti sempre più variopinti ed alienati
dalla realtà.
Come di consueto, i due
rallentano come gabbiani in planata verso la preda, per far perdurare il
transito di fronte al cancello delle Gnoccabonga il più a lungo possibile.
Niente.
Non è giornata di pesca.
Obassa allora riparte sconsolato
a passo più spedito verso casa, mentre Obongo rimane qualche metro più
indietro, accortosi di avere una scarpa slacciata.
Improvvisamente, come
levitando su un arcobaleno coperto di petali di rosa, una delle Gnoccabonga
fuoriesce da una porticina, facendo la sua comparsa sul giardino di casa,
salutando gli animali accorsi per l’evento e irradiando il quartiere con la sua
aura a pochi metri dalla faccia di un impietrito Obongo.
Costui, a parziale scusa di
quello che sta per succedergli, giura e spergiura che la Gnoccabonga gli abbia
sorriso sussurrando “bel giovanotto, lascia che ti aiuti ad allacciare la
scarpa con le mie mani vellutate”: si era ovviamente trattato di
un’allucinazione dovuta al fatto che nessuna ragazza di quella particolare
bellezza gli si era mai avvicinata a meno di dieci metri di distanza e con un
solo cancello chiuso nel mezzo.
Obongo completamente
ipnotizzato sta sognando la conclusione della frase “puoi baciare la sposa”,
quando la stridula voce di Obassa, fermo ad aspettarlo qualche metro più avanti,
spezza la magia: “Ti muovi?”
La Gnoccabonga ora lo sta
fissando per davvero, incuriosita dal vociare di Obassa.
Obongo assume tutte le
colorazioni possibili nella gamma fra il rosso ed il blu, si ricompone in
fretta e furia e, facendo finta di niente, scatta con un balzello verso l’impaziente
amico.
– BANG – Un colpo sordo rimbomba
nella strada.
La ripartenza di Obongo è
stata bruscamente interrotta da un inatteso lampione.
Volendo simpatizzare con lo
sfortunato Obongo che giace tramortito sull’asfalto, potremmo dire che il
lampione lo ha colpito a tradimento; troppo facile prendersela con la fronte di
uno impegnato a guardare una Gnoccobonga.
La situazione è la
seguente: Obassa si è accasciato a sua volta per terra in preda ad un attacco
di riso isterico, guardandosi bene dal soccorrere l’amico ferito, il quale in
pochi secondi vede maturare sullo sventurato cranio un bernoccolo grande e
colorato come un fico d’india.
Nonostante la violenza
dell’urto ne presentasse gli estremi, nessuna denuncia è mai stata inoltrata
per tentato abbattimento di beni comunali.
Una volta ripresosi ed
aiutato Obassa, che ancora rideva, a darsi un contegno e a rimettersi in piedi,
Obongo si dirige verso il lampione, per guardare in faccia il suo aggressore.
Sul bianco del palo,
proprio nel punto esatto in cui l’aveva impattato, era stato appiccicato un
adesivo.
Era una pubblicità di non
si sa bene cosa, raffigurante un bersaglio colorato.
Sembrava essere stato messo
lì apposta per il giovane ariete, come un invito, prontamente accolto.
Obongo aveva fatto centro
secco, imparando quel giorno che la strada che porta al cuore di una donna è irta
di difficoltà, piena di paletti e, nei casi più eclatanti, anche di solidissimi
lampioni.
Illustrazione originale di Uros Savić per Obongo
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