Obongo sta da tempo cercando di concupire
il cuore di un’obonga, anche perché la strada verso il cuore della donzella
dall’esterno sembra molto soffice ed invitante.
Da buon ventenne in preda ai suoi ormoni è
pronto a qualsiasi cosa pur di arrivare al suo obiettivo con un’insistenza
inversamente proporzionale alla dignità.
Attraverso un’obonga comune viene a sapere
che le due vorrebbero andare al cinema a vedere un certo film e lui prontamente
organizza un’uscita a quattro con l’amico sacrificale di turno, per l’occasione
il buon Obongioni.
Obongioni ovviamente accetta, anche lui
abbagliato dalla prospettiva di passare la serata in compagnia di due belle
obonghe, e chiede: “Cosa andiamo a vedere di bello?”
Obongo in realtà non ne ha la benché
minima idea in quanto, rapito dall’entusiasmo per l’incombente occasione, non
ha prestato attenzione al titolo del film.
- “Eh, non mi ricordo il titolo… l’astronave aliena, l’alieno interplanetario, una cosa così.”
- “Roba di extra-terrestri, figo! Poi arriva uno, li ammazza tutti e salva la terra?”
- “Boh c’è quell’attore che era anche in quel film con quell’attrice, quella bionda… Cosa… Come si chiama… Cosa Johnson”
- “Tette se ne vedono?”
- “Speriamo”
Trattavasi in realtà di “L’abitudinario
alienato da se stesso”, la parte conclusiva della trilogia sull’abbandono delle
civiltà rurali del grande maestro russo Valium Soporiferov.
Tre ore e un quarto di pura cinematografia
minimalista.
Le obonghe erano espertissime cinefile.
I due amiconi arrivano sapendo ben poco
del film, della trilogia e del grande maestro e comunque contenti di portare al
cinema due belle ragazze; metti che la serata prenda una svolta interessante e nel
frattempo il film sia pure bello?
Il primo segnale di avere azzardato una
previsione decisamente ottimistica arriva all’ingresso in sala, dove si contano
esattamente quattro spettatori: loro.
Nell’attesa dell’inizio del film, c’è
ancora tempo per Obongo ed Obongioni per impressionare le obonghe con qualche
brillante battuta del loro repertorio; tipo cosa si ottiene avvicinando un
cetriolo a due pomodori e altri squallidi rimandi ad un’inesistente collezione
di farfalle.
Il film inizia.
O meglio, le immagini iniziano: i dialoghi
seguono con un ritardo di circa venti minuti.
Sempre che la parola “no” pronunciata
dall’attrice guardando un campo di grano, possa essere considerata un dialogo.
Il campo di grano non reagisce, anche se il regista qualcosa doveva pure
aspettarsi dalle spighe dorate poiché la sua telecamera si sofferma per quattro
interminabili minuti in attesa di una risposta che non arriverà mai.
I due amici perplessi scambiano arguti
commenti:
- "Ma non parlano?"
- "Forse i protagonisti sono muti…"
- "Ma l’alieno quando arriva?"
- "Boh, magari atterra sul campo di gran…"
- "SHHHH!"
- "Forse i protagonisti sono muti…"
- "Ma l’alieno quando arriva?"
- "Boh, magari atterra sul campo di gran…"
- "SHHHH!"
Vengono ripresi come due bambini che hanno
appena rubato il barattolo della marmellata da una contrariata obonga, la quale
non tollera di essere disturbata proprio mentre si gode la monumentale scena del
rubinetto che perde.
Pensando che la posta in gioco sia ancora
alta, Obongo si scusa e scarica vigliaccamente la colpa su Obongioni,
aggiungendo un commento piccato in direzione dell’amico “dai… ma non hai un po’
di sensibilità? Il rubinetto… la goccia… su, un po’ di silenzio… lasciami
seguire.”
Altri scampoli di altissimo cinema si
susseguono e i due amici, pezzo dopo pezzo, sentono sgretolarsi la loro
resistenza: l’uomo che cammina sulla spiaggia da solo in inverno (con i
flashback di quando camminava da solo sulla spiaggia in autunno, in estate e in
primavera), il primo piano in bianco e nero della bisnonna morta, le ombre dei
monti proiettate sulla valle con il lago secco e via dicendo a colpi di non
meno di dieci minuti ad inquadratura, dove Soporiferov, conosciuto
nell’ambiente come “l’indugiante”, dà sfogo a tutta la sua creatività.
Qualche altro commento salace e qualche
altro “Shhhh” dopo, i due sono al capolinea ed il colpo di grazia giunge attraverso
i rarefatti dialoghi che fanno la loro comparsa all’improvviso.
Il pastore sussurra alla mugnaia: “Vivo di
attimi fragranti e di intensità perdute” (*)
Le obonghe si stringono le spalle con le
mani e con le facce contratte in una smorfia di emozione empatica, emettono
sincrone un “Oooohhhh” di sentita e addolorata partecipazione.
Obongo ed Obongioni si guardano con le
mani sulla testa e con le facce contratte in una smorfia prodotta da una risata
che si va formando inarrestabile, emettono sincroni un “Oooohhhh” di scherno
totale.
La mugnaia replica al pastore: “Sarebbe
bello se il ciliegio potesse mangiare le ciliegie” (*)
Le lacrime solcano il viso delle commosse
obonghe completamente rapite dall’arte del russo.
Molte lacrime solcano il viso dei due
amici che prorompono in una risata liberatoria, dando sfogo a quanto avevano
accumulato nelle ore precedenti, in preda a vere e proprie convulsioni che
perdurano per tutti e quindici i minuti seguenti, nei quali purtroppo si perdono
la scena del gatto grigio che dorme.
Obongo ed Obongioni proseguirono la serata
da soli, raccontandosi divertenti battutine su cetrioli e pomodori; le due obonghe
decisero che d’ora in poi a vedere Soporiferov ci sarebbero andate da sole.
Soporiferov fu soddisfatto dei
sorprendenti incassi di “L’abitudinario alienato da se stesso” che aveva
guadagnato al botteghino il doppio di tutti i suoi precedenti film.
(*) Una sola di queste due citazioni è vera ed
è tratta dal film che ha ispirato questa storia.
Illustrazione originale di Uros Savić per Obongo
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