Giochi di società fra
ragazzi.
Strumento di diletto che può
trasformarsi in strumento di dileggio, se orchestrato dalle menti di
adolescenti diabolici e poco politicamente corretti o, in una parola, stronzi.
Obongo organizza una serata
fra amici.
Nel gruppo anche Obonga, l’amica
di un’amica, che per la prima volta si unisce alla combriccola.
Obonga ha un lieve difetto
di pronuncia, una cosa da poco e le sue esse risultano un po’ lunghe e fischiettanti; in
realtà nessuno ci fa caso più di tanto, almeno fino a che non arriva il momento
di scegliere un gioco da fare tutti insieme.
Ora, per il dovere di
cronaca, ci sarà la necessità di riportare stralci di frasi pronunciate dalla
sibilante amica: non staremo ad indicarle con “fh”, “ffss”, “shhh” o analoghi
dittonghi sostitutivi, non tanto per premura di cadere nel ridicolo, quanto
perché nessuna combinazione di lettere rende giustizia alle esse di Obonga, dei
piccoli delicati sifoni liberati nell’aere.
Si opta per un particolare passatempo
dove i giocatori sono chiamati a scrivere delle frasi su bigliettini di carta e
dove, ogni giocatore, al proprio turno, legge quanto gli altri hanno scritto.
A turno.
Ergo, anche ad Obonga tocca
leggere.
E quando il suo turno
arriva, il difettuccio fino allora passato inosservato, inevitabilmente si
palesa in tutto il suo buffo potenziale.
Obonga legge una delle
frasi scritte da uno dei giocatori, che si conclude con: “… e S’aSSopì Sotto il
Sole”.
Una cosa è chiacchierare
del più e del meno con il brusio delle voci altrui e della musica come
sottofondo, un’altra è declamare una frase, anche semplice, nel silenzio
assoluto, con tutti che ti ascoltano.
Le inusuali esse vengono
amplificate a dismisura dal silenzio ed un rapido sguardo malizioso corre come
un lampo, di volto in volto, fra Obongo ed i suoi amici.
La bomba ad orologeria è
innescata e c’è solo da aspettare il turno seguente per attendere che
esploda in tutto il suo delirio.
Giunge quindi il fatidico
momento ed il primo segnale che qualcosa sta per accadere è l’interminabile
tempo che la malvagia cricca impiega a scrivere le frasi, ovviamente congegnate
per la grande occasione; fanno la loro comparsa le prime risatine degli
infingardi scrittori che già si pregustano la scena.
“Ma coSa c’è? Come mai ci State
mettendo tutto queSto tempo? Dai Su Sbrigatevi, Sto aSpettando.”
Ormai ogni S è come un
invito a delinquere, un manifesto alla crudeltà gratuita; le risatine
aumentano, anche se ancora limitate da pallidi tentativi di contegno.
Tutto è pronto.
Obonga colleziona i
bigliettini manoscritti e comincia a leggere: la giostra si mette in moto.
“L’aSSaSSino ScorSe il
Segnale e toSto aSSeSStò una SaSSata a SuSanna.”
L’intensità delle risate
raddoppia; il processo è irreversibile.
“Il SuSSeguirSi di SoSpetti
Si intenSificò aSSai e Senza SoSta.”
Ormai sono risate a tutto
tondo: grasse persino.
"Che coSa c'è ridere, non capiSco?”
Ogni nuova esse è come benzina
sul fuoco, qualcuno rotola giù dalla sedia.
“Ma è aSSurdo, volete
Spiegarmi coSa Sta Succedendo?”
Pandemonio.
"Siete proprio Strani".
...
Ci volle un quarto d’ora
buono per placare gli animi e perché Obonga terminasse di leggere altre due
frasi per un totale di dieci parole.
Al giro dopo, ignorando in
pieno la buona norma per cui un bel gioco dura poco, i nostri sono nuovamente
impegnati a far proliferare le esse nei loro manoscritti attraverso parole come
“grossissimissimo” e “assortissero” o conficcandole senza ritegno dentro parole
inventate ad hoc per la continuazione del piano criminale, come
“ansiosistemistico” e “insistissimamente”.
Obonga raccoglie i
bigliettini, i risolini si placano in attesa della nuova raffica, quando con
un’aria sconsolata esclama: “ScuSate, ma non So Se mi va di giocare ancora”.
Ecco la mazzata.
Bambinetti impertinenti richiamati
ad un minimo di decenza.
Le facce fra il penitente e
l’imbarazzato si moltiplicano: ora Obongo ed i suoi amici abbassano lo sguardo,
sentendosi male per avere abusato delle esse di Obonga.
Si sarebbe potuto asserire
che essi non fossero così insensibili, anche se questa scelta di parole avrebbe
creato ulteriori problemi nel caso in questione.
Obongo sta per prendere il
coraggio a due mani e scusarsi a nome di tutti, quando Obonga parla di nuovo: “ScuSatemi
davvero, ma queSto gioco non fa per me… e poi mi capitano Sempre fraSi con un
Sacco di eSSe… Sono troppo Sfigata”.
Già; una sfiga
ossessionante e anche un po’ sessantaseiesima.
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