Obongo si trova a Dubai.
Durante la sua permanenza fa
conoscenza con Amhed Obong, un uomo d’affari locale che gli propone di cenare
insieme per poi visitare il più grande centro commerciale del mondo.
Arrivati nella mastodontica
struttura, i due scelgono il posto dove andare a mangiare.
Le possibilità sono tante e
Obongo, in qualità di ospite, viene invitato a scegliere.
“Se per te va bene,
mangerei volentieri un hamburger.”
“Ottima idea, però evitiamo
i fast food, ok?”
“Oh sì, intendevo un
hamburger buono, di qualità, in un ristorante carino; niente fast food,
perfetto!”
“Io non mangio in un fast
food da un anno esatto” Amhed Obong si batte le mani sulla pancia soddisfatto
“e intendo continuare così: quella roba fa male.”
La precisazione è
legittima, pensa Obongo, il quale pensa che se anche Amhed Obong ha visto la
luce abbracciando la via del cibo sano, dovrebbe darsi una regolata sulla
quantità con cui lo consuma, come si evince osservando le rotondità che fanno
capolino da sotto la sua camicia.
I due consultano la mappa
interattiva di tutti i ristoranti del centro commerciale quando Amhed Obong riconosce
il marchio VibraBurger: “Ah, questo me l’ha consigliato la mia ragazza, mi ha
detto che si mangia benissimo; proviamolo!”
Obongo non avendolo mai
sentito prima accetta volentieri, nonostante il nome non lasci presagire una
particolare qualità della proposta.
I due si avviano verso il
locale.
All’arrivo è assolutamente
evidente che VibraBurger è una catena di fast food, che si differenzia dalle
altre solo per il fatto che una volta ordinato, il cliente viene dotato di un
pezzo di plastica che porta con sé al tavolo in attesa che il cibo sia pronto;
quando l’aggeggio vibra, il cliente sa che è ora di ritirare il suo panino.
Insomma, non esattamente l’hamburger
con tutti i crismi e servito in un ristorante decente di cui si era parlato
poco prima.
Magari il posto è un po’
squallido, ma Amhed Obong lo ha proposto comunque per la qualità del cibo?
Magari
no.
Dopo il preambolo da crociato
anti fast food, Obongo si aspettava un hamburger fatto con sole carni tracciate
da allevamenti selezionati, di quelli dove un addetto sventola con una palma le
mucche per tutta la loro vita fino al giorno del macello; un panino con foglie
di insalata e pomodori provenienti da colture biologiche gestite da monaci
benedettini scalzi, salse fatte da sorridenti nonne con ingredienti presi
dall’orto, secondo ricette di otto generazioni fa e via dicendo.
L’hamburger top del posto,
il VibraMaster, è per contro una sorta di abominio edibile.
Come sempre accade in
questi casi, il panino è la controfigura spastica di quello succulentissimo rappresentato
sul pannello pubblicitario; può la floscia ammucchiata di pezzetti cotti essere
anche solo lontana parente dello sgargiante panino messo in posa e tirato a
lucido nella fotografia?
Gli instancabili amici del
marketing di VibraBurger, già inventori della cineseria di plastica che vibra,
ci garantiscono che è proprio così.
Lo sciagurato prodotto è
servito in una sorta di salvietta di materiale plastico che trattiene l’unto ed
almeno sulla bontà del suddetto materiale non sembrano esserci dubbi, in quanto
in pochi istanti a contatto con il VibraMaster diventa un tutt’uno con l’olio
che il panino trasuda.
L’olio (olio?) che insieme
ad altri imprecisati liquidi fuoriesce ad ogni pressione delle dita sul pane è
davvero tanto e di origine indecifrabile: potrebbe non essere azzardato pensare
che se avete finito quello che normalmente mettete nel motore della vostra
auto, una strizzatina di VibraMaster risolverebbe il problema, permettendovi di
circolare sereni per i mesi a venire.
Le salse all’interno del melmoso
panino hanno sapori forti tanto da coprire quello della carne (carne?) e colori
sgargianti e innovativi che sembrano usciti da una fabbrica di pennarelli.
Il tocco finale è fornito
dalle patatine fritte per l’occasione ricoperte da un liquido giallo e appiccicaticcio
che, stando a quanto riportato sul menu, è formaggio fuso anche se sarebbe
interessante rimandare la discussione ad un laboratorio chimico per un secondo
parere.
Obongo non è uno che si
impressiona, e pur se molto di rado, non ha problemi a concedersi un paninazzo
trucido; il VibraMaster e le patatine con tutto il loro denso blob vengono
spazzolati via senza troppi problemi.
La serata prosegue ed
arriva il momento di congedarsi.
Amhed Obong gentilmente
offre un passaggio ad Obongo.
Obongo è un guidatore
prudente e da due giorni si trova in balia dei tassisti di Dubai e delle loro
follie al volante; accetta quindi di buon grado, pensando che le sue
possibilità di arrivare vivo all’hotel siano appena aumentate del 95%.
Arrivati al parcheggio, Amhed
Obong attiva l’apertura automatica delle portiere.
TLIN TLIN
Si tratta di un nuovissimo
modello di macchina sportiva, che Obongo non aveva mai visto prima.
“Wow, che bella macchina!”
“È l’ultimo modello.”
“Immagino che vada molto
veloce.”
“Sì parecchio, ma stai
tranquillo, io vado piano. Prima correvo come un matto ma da un anno esatto non
supero mai i limiti, soprattutto in città” Amhed Obong si batte nuovamente le
mani sulla pancia “ci tengo alla pellaccia.”
Obongo non perde neanche
tempo a chiedere se è da un anno esatto che Amhed Obong ha smesso di bere, di
fumare, di giocare d’azzardo o di tradire la ragazza, ma declina l’invito con
una scusa, lo saluta e sale, pregando, sul primo taxi disponibile.
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