Se avete frequentato un circolo
scacchistico sapete già che i praticanti di questo sport sono una razza un po’
particolare, come recita il loro stesso motto “Gens una sumus” (Siamo una sola
famiglia).
Se non proprio psicopatico o
schizofrenico nei casi peggiori, lo scacchista è un tipo per definizione
originale, spesso in maniera direttamente proporzionale con la sua abilità nel
gioco.
Per quelli di voi che invece non hanno
un’idea precisa in materia, Obongo Forever si è premurato di compilare questo
prontuario.
Il classificato di basso livello.
Per la regola di cui sopra siamo
ancora nell’ambito della normalità accettabile.
E’ abbastanza scarso da perdere con
quasi tutti i giocatori decenti, ma abbastanza forte da battere quasi tutti
quelli che non sanno giocare: suo nipote di 3 anni, il suo amico che confonde i
cavalli con i pony, il suo yorkshire e la fidanzatina di turno, che per amore,
ha imparato a giocare controvoglia.
Non perde occasione per ricordare,
in genere ad un auditorio disinteressato e sfiancato, il suo unico successo in
un torneo (chiaramente anch’esso di infimo livello) dove ha vinto con una
combinazione a suo dire spettacolare, con tanto di partita commentata mossa per
mossa e prolissi dettagli sul fatto che l’avversario sconfitto nel turno
decisivo una volta aveva preso il caffè con uno che era lo zio di uno che era
amico di uno che aveva visto da lontano il campione del mondo di scacchi.
Il classificato di basso livello
non presenta anomalie mentali particolari ma può talvolta abbandonarsi a
comportamenti sconvenienti o bizzarri: ha fatto specie il caso di Obongo Stallo
che è stato osservato, faccia tra le mani, piangere a dirotto e ripetere
ossessivamente per tre giorni di fila “Cavallo mangia pedone! Cavallo mangia
pedone!“ impietrito di fronte alla scacchiera, in riferimento alla mossa che
aveva clamorosamente mancato e che gli era costata la partita.
Il candidato maestro.
Il livello di alienazione è ancora
poco, solo in qualche caso rimarcabile.
Qualche sociopatico di basso
livello, l’occasionale cinquantenne che vive con la mamma, il
maniaco-depressivo che gioca perché gliel’ha consigliato lo psicologo o il tale
che ammorba qualsiasi conversazione con quella che secondo lui dovrebbe essere
la formula matematica esatta per calcolare il punteggio ELO.
I candidati maestri sono in
assoluto i più frustrati scacchisti che ci siano. Sono tutto sommato normali e
rispondono in maniera corretta ai principali stimoli audio-visivi, ma vivono un
perenne stato di limbo per via della parola candidato di fronte al titolo di
maestro, non ancora conseguito.
Sono quasi sempre ben più forti dei
classificati di basso livello e talvolta perfino bravi come alcuni maestri, ma da
qualsiasi parte la si guardi, maestri non lo sono: e questo li urta.
Tendono ad essere spocchiosi e
arroganti con i giocatori che battono facilmente e sfruttano sapientemente la
seconda parte del loro titolo con i non addetti ai lavori, facendosi chiamare
comunque “Maestro”.
Per contro sono invidiosissimi e si
comportano da lecchini con i maestri veri, pronti a qualsiasi cosa pur di
integrarsi, anche solo in una conversazione sul tempo, con quelli che il titolo
ce l’hanno per davvero.
Ha fatto scalpore il caso di Obongo
Arrocco il quale ha venduto le figlie ad una banda di albanesi in cambio del
titolo di maestro, conseguendolo al torneo di Tirana, in cui ha partecipato
giocando contro manichini di cartapesta con dipinte sulla testa le facce di
scacchisti di fama mondiale.
Il maestro
Qui il livello di alienazione è ben
evidente.
Il maestro parla guardando in un
punto fisso all’orizzonte e solo di rado fa un cenno con la testa per dire che
ha capito. In realtà si tratta di un riflesso motorio non controllato legato al
fatto che stava analizzando una posizione complessa e ha trovato la mossa giusta.
I maestri di scacchi si dividono in
due categorie: magri, smunti e barbuti o ciccioni, rubicondi e barbuti.
Qualsiasi sia il prototipo, il maestro di scacchi non ha tempo di farsi la
barba: finirebbe col tagliarsi in maniera seria trovando una mossa buona mentre
analizza una posizione radendosi.
L’opzione di interrompere l’analisi
anche per pochi secondi durante la giornata, non è per essi viabile.
La rara attitudine alla cura
personale è purtroppo un particolare che ricorre spesso e con risultati ben
peggiori, nella vita di questi abilissimi scacchisti.
Celeberrimo il caso del Maestro “Maglietta
Fortunata”, il cui soprannome è stato guadagnato sul campo partita dopo
partita, giorno dopo giorno, torneo dopo torneo.
Il nostro infatti ogni volta che
vinceva un incontro non si cambiava la maglietta, ritenuta appunto fortunata.
Per quelli di voi che pensano che
durante una partita di svariate ore fermi e a spremersi le meningi non si sudi
poi tanto, beh, non è così; si suda (ergo si maleodora) e pure parecchio, per
via della tensione nervosa.
Il Maglietta Fortunata, noto anche
come lo scacchista il cui talento si sentiva arrivare da lontano, è finito però
male. Il maestro Obongo “Alla lettera” Scaccopazzo gli ha sparato all’ultimo
turno di un torneo di dieci giorni, in cui il Maglietta Fortunata aveva vinto
tutte le partite precedenti e si apprestava a sfidarlo. Poco prima della
partita il Maestro “Alla lettera” ha mancato infatti di scorgere l’ironia nella
battuta di un collega che commentava: “non si cambierà mai se qualcuno non lo
batte… ma è davvero in forma, per batterlo bisognerebbe sparargli”.
Il Grande Maestro
Questa categoria di scacchisti è
completamente estraniata dalla realtà.
I grandi maestri non sanno
esattamente di essere persone, né di essere una forma di vita, né di esistere
in generale.
Si ravvivano solo al contatto con
un pezzo o un orologio da scacchi; parlano solo tra di loro usando il gergo tecnico
degli scacchi o raccontandosi partite passate, talvolta gongolando o attristendosi
a seconda dell’esito. Gli scienziati hanno avanzato di recente una teoria per
la quale i grandi maestri una volta raggiunto il titolo, transustanziano verso
un livello superiore e tutti i loro sensi mutano, rendendo la realtà una grande
scacchiera.
Un grande maestro non vede palazzi,
ma torri, non vede animali ma cavalli, per lui le donne sono regine e qualsiasi
altro oggetto di qualsiasi altra forma è assimilato a un pedone.
Un qualsiasi pavimento, marciapiede
o parquet è comunque fatto di quadrati bianchi e neri in cui le cose si muovono
in maniera bizzarra, dritto per dritto, in diagonale, a piccoli passetti o a L.
Un esempio classico di originalità è il grande maestro Obongo
Vincispesso, detto “Il Penitente”.
Per avere mancato di mangiare un
cavallo, mossa che gli avrebbe garantito il titolo mondiale, il penitente per
tenere bene a mente l’errore e non ripeterlo, ora mangia un intero equino
macellato appositamente per lui prima di ogni partita importante.
L’appassionato semplice.
Costui è chiaramente ammalato di
scacchi quanto tutti gli altri, ma la sua proverbiale scarsezza fa sì che si
limiti a restare ai margini del circolo, come semplice osservatore e a
declinare gli inviti a giocare.
Macera nella consapevolezza di
essere un’eterna pippa e non trova di meglio che usare il suo blog umoristico
per canzonare l’intero genere scacchistico.
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