In un mondo globalizzato nel nome
della produttività e dell’efficienza, c’è un uomo che non si arrende e ancora
mette la sua arte manifatturiera davanti a tutti e tutto.
Questa è la storia di Obongo,
l’artigiano.
Quei vecchi mobili realizzati dal
falegname del paese, con il legno di alberi pregiati, frutto di ore passate
sulle rifiniture e dell’amore per la cura del dettaglio, con il risultato
finale di un pezzo unico e inimitabile o forse quei volumi scritti da amanuensi
benedettini, con la loro calligrafia perfezionata in mesi e mesi di pratica a
lume di candela, che intrappolava le parole sulla pagina in uno stile sinuoso:
queste ed altre storie di artigianato sopraffino sono la fonte d’ispirazione
quotidiana nella vita di Obongo.
Obongo in realtà gestisce un
piccolo negozio di panini da asporto, ma ciò non lo scoraggia dal considerare
la sua un’arte ed in quanto tale praticarla.
I suoi movimenti sono lenti e calcolati;
arte e fretta del resto, non possono convivere nello stesso laboratorio.
Obongo solleva delicatamente un
panino dal bustone dove giace ammassato con gli altri panini; non vuole
rischiare di danneggiarlo per l’incuria, deve giungere al cliente privo di
scalfitture sulla crosta.
E con cura lo accompagna verso
l’area di taglio, ripulita dalle briciole prodotte dal suo predecessore,
raccolte una ad una con pollice e indice a mo’ di pinzetta.
Una volta sistematolo sul tagliere,
Obongo esegue l’operazione con una perizia che solo pochi chirurghi riservano
alle pance dei loro pazienti; le due metà devono essere speculari per garantire
al palato un’equa distribuzione della mollica sopra e sotto.
Valutata positivamente la geometria
della sezione, Obongo si porta verso il cliente e sistematosi di fronte a lui
in modo cerimonioso, chiede: “Cosa gradisce il signore?”
Il signore soffia forte verso
l’alto per spostare la ragnatela che gli si è formata sulla fronte e procede ad
ordinare: “salsiccia, pomodoro, insalata e maionese”.
Obongo annuisce mentre verifica
attentamente che tutti gli ingredienti siano disponibili.
Quei dieci minuti in realtà gli
servono per finalizzare il progetto.
Sì; perché a fare un panino sono
capaci tutti, ma per progettarne uno ci vuole talento.
Obongo comincia sollevando il
barattolo della maionese ed osservandolo in controluce con un monocolo da
taschino; sta calcolando quanta pressione sarà necessaria per spremere la
quantità giusta e poi spalmarla con un movimento antiorario del polso, garantendo
il massimo coefficiente di assorbimento per centimetro quadrato di pane a
parità di salsa applicata.
L’operazione richiede solo quindici
minuti.
È poi la volta della foglia di
insalata; Madre Natura, artista per eccellenza, di suo non ne produce due
uguali. Obongo è quindi costretto a scrutinarle da vicino con grande attenzione,
per capire quale tra le foglie disponibili nel contenitore sia davvero perfetta
per aderire alla sagoma del pane che ha in mano.
Un’analisi dei microsolchi prodotti
dal taglio comparata alle venature della foglia verde gli fornisce i dati
essenziali per applicare il suo personalissimo algoritmo di scelta.
Nei casi più complessi il problema
non può essere risolto con una singola foglia e deve fare ricorso alla
costruzione di un mosaico utilizzandone diverse; una frontiera di Pareto
risolve il problema di ottimizzazione multi-obiettivo.
Giusto una mezz’oretta ed è tempo
di posizionare il pomodoro.
Qui Obongo ha vita abbastanza
facile perché le rotelle di pomodoro sono tonde come la sezione del panino;
azzeccare il diametro è semplice, ma il colore?
Volete un panino sciatto, fatto in
maniera superficiale, senza tenere conto degli accostamenti cromatici?
Per un artigiano vero questo equivale
a un insulto.
Il verde della lattuga non sta bene
con tutte le tonalità di rosso dei pomodori a disposizione: la scelta cade su
un carminio tenue con sfumature
amaranto.
Via verso il gran finale adesso,
anche perché l’orario di chiusura si avvicina.
Come in ogni delicato processo che si
rispetti, arriva il momento critico: la salsiccia.
La cottura viene completata
attraverso laboriosi passaggi che includono, fra gli altri: foratura in punti
strategici calcolati con riga e compasso, spostamenti ad intervalli regolari
sulla piastra per uniformare il calore e canto di un requiem in memoria
dell’animale trapassato.
L’arte di Obongo però trova la sua
vera esaltazione nella fase finale: adagiare quei pezzetti tubolari sulla
piattaforma rotonda, dando alla sua opera un’armonia perfetta che non disturbi
l’ordine già stabilito tra i pezzi collocati in precedenza.
Il panino di Obongo, il capolavoro
di artigianato, è pronto.
Si tratta solo di rianimare il
cliente dal sonno profondo per farsi pagare ed Obongo potrà andare a riposare in vista dell’indomani.
Al risveglio lo aspetta un “cotto,
fontina, cetriolini, ketch-up e funghi” che richiederà uno sforzo notevole,
visto che lo dovrà consegnare la settimana seguente.